La Bianca Compagnia

Riportiamo il capitolo 9.4 del libro di Paolo Grillo "Cavalieri e popoli in armi – Le istituzioni militari nell’Italia medievale", appena uscito (aprile 2008) per i tipi della Laterza

La Bianca Compagnia

Come si è accennato, la pace di Brétigny, del 1360, immise sul “mercato delle armi” molti gruppi di combattenti francesi ed inglesi che fino ad allora avevano servito durante la prima fase della Guerra dei cent’anni. Questa disponibilità di uomini fu ben accolta in Italia, dove permaneva un continuo stato di tensione fra i Visconti, sempre intenzionati a estendere i propri domini, e l’eterogeneo schieramento avversario, composto da principi e città raccolti attorno al papa. Fu proprio Innocenzo VI ad arruolare un folto gruppo di militi inglesi e a inviarlo in Piemonte, nel maggio del 1361, per appoggiare il marchese Giovanni II di Monferrato contro Bernabò Visconti. Entrava così in Italia la più celebre e la più efficace delle unità mercenarie, destinata a conquistarsi una fama romanzesca, assieme all’ultimo dei suoi comandanti, John Hawkwood, più noto col nome italiano di Giovanni Acuto. La sua parabola, fra il 1361 e il 1394, illustra bene, a un tempo, l’apogeo e la crisi delle compagnie di ventura.
La Bianca Compagnia, forse soprannominata così per il colore delle armature a piastre non brunite utilizzate dai suoi cavalieri, non si distingueva per composizione dalle altre unità mercenarie. La sua componente principale era la cavalleria pesante, mentre i famosi tiratori armati di arco lungo (longbow), che si erano dimostrati molto efficaci sui campi di battaglia francesi, non erano che poche decine, destinati a compiti ausiliari. Sebbene la compagnia si considerasse inglese, e perciò si rifiutasse di combattere contro altri sudditi britannici, la sua composizione era assai eterogenea: soprattutto dopo le prime battaglie in Italia, per ripianare le perdite furono immessi molti elementi di altre nazionalità, quali tedeschi, ungheresi e italiani.
Più peculiare, rispetto alle compagini tedesche, era il modo di scendere in battaglia: sul campo, infatti, i membri della Bianca Compagnia si schieravano appiedati, in formazione serrata, evitando di lanciarsi in cariche frontali, ma conservando una significativa mobilità anche una volta scesi da cavallo. La loro passata esperienza li rendeva capaci di scegliere il terreno più favorevole per lo scontro, sfruttando al meglio gli elementi naturali. Abili e veloci, i combattenti inglesi furono anche in grado di condurre raid in città e borghi fortificati, scavalcandone nottetempo le mura con scale montabili. La compagnia non disponeva però di artiglieria e, senza poter contare sul fattore sorpresa, non era in grado di condurre operazioni d’assedio.
Soprattutto, però, la Bianca Compagnia aveva un numero di armati superiore agli avversari, poiché portava con sé pochi ausiliari, ma disponeva di molti militi, efficacemente ripartiti in unità minori in grado di operare sul campo in maniera autonoma. Nel novembre del 1361 essa contava circa 3.000 cavalieri, comandati da Albert Sterz, assistito da 17 caporali, di cui 15 erano inglesi, per la maggior parte veterani della Guerra dei cent’anni. Nel 1365, ormai agli ordini di uno di quei caporali, John Hawkwood, era cresciuta a circa 5.000 militi, divisi in 30 squadre composte ciascuna da 167 combattenti. Per tutta la sua lunga esistenza, la compagnia variò repentinamente in organizzazione e consistenza: unità minori se ne distaccarono, per poi talvolta tornare a farne parte, a seconda delle variabili fortune di Hawkwood e dei suoi rivali.
Benché non invincibile, la Bianca Compagnia guadagnò un’eccellente reputazione, sia per le capacità belliche sia per l’affidabilità dimostrata, e prestò servizio per molte delle principali potenze italiane dell’epoca, quali Firenze, i Visconti, i Carraresi e il papa. Sotto il comando di Hawkwood, infatti, essa si dimostrò abbastanza fedele ai propri committenti, portando a termine la maggior parte dei contratti. Si trattava di una virtù personale del condottiero inglese, ma anche di un segno dei tempi ormai mutati: di fronte a poteri politici ormai in corso di consolidamento, la spregiudicata politica condotta negli anni Cinquanta da Werner di Urslingen e da frà Moriale non era più né opportuna né redditizia. John Hawkwood non mancò, laddove si presentasse un’occasione particolarmente favorevole, di ricattare i suoi reclutatori o di chiedere mutamenti dei termini di pagamento pattuiti, ma evitò di tradire e di cambiar bandiera nel corso della campagna.
Hawkwood, in particolare, stabilì un rapporto privilegiato con Firenze, dove aveva investito buona parte dei suoi guadagni e alla quale tornava periodicamente a offrire i propri servigi. Quasi mai egli, anche quando era al soldo di altre potenze, si mosse contro gli interessi della città toscana e negli ultimi anni della sua vita rimase quasi ininterrottamente al suo servizio. Dal 1390 al 1392 la Bianca Compagnia costituì il nerbo della difesa contro le mire espansionistiche di Gian Galeazzo Visconti. Quando morì, proprio a Firenze nel 1394, John Hawkwood ebbe esequie solenni da parte della repubblica e, alla sua memoria, fu commissionato a Paolo Uccello il celebre monumento pittorico, ancora oggi visibile nella cattedrale di Santa Maria Maggiore.

30/6/2008