La battaglia di Crécy (1346).

La battaglia di Crécy si inserisce all’interno della guerra dei Cent’anni.
Nel 1330 la Gran Bretagna era ancora divisa in Inghilterra e Scozia, mentre la Francia era assai diversa da quella
attuale. In particolare, la regione di Aquitania, pur facendo parte del Regno di Francia, era retta dal Re d’Inghilterra,
Edoardo III, che era quindi teoricamente un vassallo del Re di Francia, Filippo VI.
L’Aquitania si estendeva nell’ovest della Francia, e la sua importanza era legata al fatto che all’interno dei suoi domini
si trovava praticamente tutta la costa occidentale del paese: era quindi una delle tappe obbligate del commercio navale
europeo
Nel maggio del 1337, Filippo VI decise di confiscare ad Edoardo III l’Aquitania. Il gesto fu il frutto di decenni di
scontro tra le tendenze espansionistiche inglesi e i tentativi di riassorbimento dell’Aquitania da parte dei francesi.
Edoardo III, tuttavia, non consegnò la regione ai francesi, anzi: sfruttando la discendenza di sua nonna Isabella dai
Capetingi, dichiarò di essere il legittimo erede al trono di Francia, e a novembre una prima armata inglese sbarcò nelle
Fiandre. Fu l’inizio di una guerra che, agli occhi della gente, sembrava essere destinata a concludersi in breve tempo
con una schiacciante vittoria dei Francesi, che potevano contare sulla superiorità numerica e sulla migliore conoscenza
del territorio.
Chiaramente, la “vicenda Aquitania” fu sfruttata come pretesto da Edoardo III, e in effetti persino la pretesa al trono del
Re, una volta cominciata la Guerra, fu presto dimenticata: la Guerra dei Cent’Anni, in effetti, fu combattuta per
prestigio: ritirarsi e accettare la sconfitta avrebbe significato ammettere l’inferiorità rispetto al nemico, cosa che nessun
Re, inglese o francese che fosse, avrebbe mai accettato di fare!
La Francia disponeva di un grande esercito, e le sue unità caratteristiche erano la cavalleria, costituita dai nobili
francesi, e i corpi di balestrieri genovesi, ingaggiati da Filippo VI per fornire supporto alla potente cavalleria di Francia.
Proprio quando i francesi sembravano più forti, Edoardo III sbarcò in Francia alla testa di un nuovo piccolo ma
agguerrito esercito. Dopo aver saccheggiato Caen e assediato inutilmente Rouen, Edoardo e i suoi diecimila uomini si
diressero a Crécy, braccato da Filippo VI. I soldati di entrambi gli schieramenti si stancarono di quella fugainseguimento,
e l’esercito inglese si accampò su di un’altura vicino Crécy. Era il 26 agosto 1346.
Si fronteggiavano 12000-13000 inglesi, di cui 5000-6000 arcieri e 36000-40000 francesi.
“Verso le quattro del pomeriggio un grido della sentinella nel mulino fece rivolgere l’attenzione di tutti verso la valle:
era l’avanguardia francese che avanzava ad andatura moderata, con gli stendardi e i pennoni che luccicavano alla luce
del sole, la grande Orifiamma sventolante, segno della lotta senza quartiere contro i nemici della Francia. […]
Mentre i ranghi francesi disposti in tre blocchi erano giunti nella zona d’avvistamento degli inglesi e si stavano
allineando con calma sulla collina, il sangue caldo della nobiltà francese stava ribollendo.
Mentre i francesi si riversavano in avanti e cominciavano a confluire su di un fronte, si levò su entrambi gli eserciti un
grande stormo di corvi, segnale di tempesta.
Il re Filippo, resosi conto che non poteva tenere a bada la sua schiera gridò improvvisamente ai suoi ufficiali: “Mandate
avanti i balestrieri genovesi e lasciate che la battaglia inizi, nel nome di Dio e di San Denis”.
Le nuvole nere e minacciose dominavano Crécy e di lì a poco scoppiò una pioggia torrenziale.
Mentre crepitavano i tuoni e pioveva a dirotto, le migliaia di uomini che erano lì per combattere si stavano bagnando
fino al midollo, e l’acqua colava lungo il collo, sotto l’armatura di maglia, inzuppando le loro giacche di pelle ed
inzuppando gli stendardi.
Gli arcieri inglesi scaricarono gli archi e arrotolarono le corde infilandole sotto gli elmetti per non farle bagnare.
Poi l’aria cominciò a diventare limpida, il sole riprese a splendere bello e lucente, dritto negli occhi dei francesi e alle
spalle degli inglesi.
In fondo alla valle, i genovesi cominciarono a gridare, marciando in avanti e giunti a portata di tiro si fermarono,
alzarono le balestre e tirarono, poi mentre i dardi volavano verso le linee inglesi, si fermarono ancora per ricaricare i
loro pesanti marchingegni. E’ possibile che le spesse corde attorcigliate delle balestre, lasciate lente fino al momento del
tiro, avendo assorbito l’umidità che aveva fatto seguito al sole caldo, avesse fatto sbagliare loro la mira.
Nel frattempo migliaia di longbow venivano tesi e le prime frecce tirate dagli inglesi sibilavano, curvandosi verso di
loro “così fitte che sembrava nevicasse”.
I genovesi non si aspettavano un tale attacco e vennero colpiti a centinaia e incominciarono a indietreggiare.
Molti gettarono a terra le loro armi e scapparono. Vi fu grande confusione e panico tanti erano i morti e i feriti. Quando
i nobili francesi videro quello che stava succedendo il loro sangue caldo ribollì, il conte di AleVon gridò ai suoi uomini:
”Uccidetemi questa marmaglia, uccidete, uccidete!”.
I cavalieri cavalcarono con araldico splendore nelle loro armature luccicanti, piombando alle spalle dei genovesi,
gridando e deridendoli mentre galoppavano. Durante questo attacco, gli italiani tirarono contro i francesi che si
trovavano in mezzo a loro e in mezzo a tanta confusione arrivò la prima furiosa carica contro la posizione del principe
di Galles.
In gruppi ammassati si lanciarono sul pendio contro le linee inglesi, mentre gli arcieri tiravano e tiravano e le frecce
sibilavano colpendo i bersagli. “Gli arcieri le facevano volare dappertutto, non sbagliavano un colpo ed ogni freccia
colpiva un cavallo o un uomo, trafiggendo la testa o un braccio o una gamba dei cavalieri e facendo imbizzarrire i
cavalli, alcuni si bloccarono, altri si precipitarono fuori del campo di battaglia, ed altri ancora cominciarono a
recalcitrare, ad impennarsi… I cavalieri del primo battaglione francese caddero o furono abbattuti senza neppure vedere
gli uomini che li avevano colpiti”.
Dopo qualche minuto il crinale era tappezzato di uomini ed animali caduti, ma in mezzo a loro e sopra di loro
cavalcavano i francesi che gridavano, i cavalli scartavano ed andavano alla carica, si svincolavano senza poter essere
governati, inciampavano e nitrivano mentre le frecce li trafiggevano, e le ferite si laceravano per i movimenti convulsi
provocati dal dolore e dalla paura.
Nei momenti di calma, mentre le masse di francesi si spostavano e si ricomponevano prima della carica successiva, gli
arcieri correvano avanti tra i morti per recuperare quante più frecce potevano.
Ma i francesi continuavano ad avanzare. Non potevano credere e non potevano tollerare il fatto che la loro potente
cavalleria cadesse davanti a degli uomini dalle umili origini.
Qua e là i cavalieri francesi cadevano in mezzo allo schieramento degli arcieri, i vuoti venivano sempre colmati, però
come caricavano venivano abbattuti e colpiti a morte. Spuntò la luna e le cariche dei francesi continuarono sotto la sua
fioca luce, anche se sempre con minore intensità fino alla mezzanotte. Il re Filippo, ferito in viso da una freccia, aveva
già lasciato il campo di battaglia con le guide e la sua guardia personale.
Poiché molti comandanti francesi erano morti o feriti non era rimasto nessuno in grado di dare ordini all’esercito.
Il fiore della cavalleria francese giaceva esanime sul campo di battaglia.
L’alba della domenica si presentò con una fitta nebbia e quindi era fuori questione continuare i combattimenti, ma i
gruppi incaricati di seppellire i morti scesero dal pendio, mentre i monaci e i chierici dell’abbazia di Crécy prendevano
nota dei nobili francesi che giacevano senza vita.
Quel giorno gli arcieri inglesi ebbero la loro parte di gloria. La vittoria fu ottenuta grazie ai loro tiri.
Il re Edoardo si avvicinò al Principe Nero, suo figlio e baciandolo disse: “Figlio mio, sei proprio mio figlio”. Molti altri
figli dormivano quella notte.”
Le perdite francesi e genovesi sono state stimate in circa 12000 uomini (o più, alcune fonti arrivano fino a 30000) di cui
11 Principi e 1200 cavalieri. Quelle inglesi sono state comprese tra 150 e 250 uomini.
E’ difficile fare calcoli precisi ma si stima che siano state lanciate quel giorno più di mezzo milione di frecce.
Bibliografia:
http://www.bluedragon.it/medioevo/guerra_dei_centanni.htm
R. Hardy: Longbow
http://en.wikipedia.org/wiki/Battle_of_Crecy
Minischeda ASA02 – La battaglia di Crécy (1346)


BY Piero e Loriana